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5 ottobre 2011 3 05 /10 /ottobre /2011 16:50

 

Beatles2Non è semplice fare una classifica dei migliori album nella storia della musica pop. Anche perché per poterla fare, bisognerebbe aver seguito lo sviluppo di questa forma musicale nel corso degli ormai svariati decenni che ne hanno segnato la storia. E anche perché, bisognerebbe aver ascoltato decine e decine di migliaia di album dei più svariati artisti, cosa effettivamente non semplicissima, anche per una questione meramente finanziaria. Si può provare però a fare una classifica discretamente veritiera, partendo da due parametri imprescindibili, il valore musicale e l’impatto sul costume. Seguendo questo percorso, la nostra classifica, da limitare a cinque album, comincia ad acquisire contorni sicuramente meno sfumati.

1)  “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. Come non affidare il primo posto al primo concept album nella storia della musica pop? La Banda dei Cuori Solitari del Sergente Pepper ha veramente segnato una epoca, sancendo al livello più alto la grandezza dei Fab Four e certificandone la crescita artistica già segnalata dai due album precedenti, Rubber Soul e Revolver. Oltre al livello delle composizioni, in questo caso bisogna rimarcare l’impatto avuto dall’album a livello di costume (basti ricordare le famose divise dell’epoca, riprese da quelle dei Beatles sulla copertina) e, soprattutto, la bravura con cui la Band seppe giocare sul simbolismo della copertina. Simbolismo su cui è stata impiantata col tempo la leggenda della morte di Paul Mc Cartney e che ha dato luogo alla formazione di una abbondante letteratura, ancora oggi estremamente godibile.

2)  “The Dark Side Of the Moon”. E’ uno degli album più venduti nella storia della musica rock. Forse non è il migliore nella discografia della band guidata da Roger Waters, ma sicuramente è quello che più di altri ha segnato un periodo, quello dei primi anni ’70. I Pink Floyd sono da sempre oggetto di una forte polemica tra chi li ritiene una delle migliori band all time, e chi invece si spinge a considerarli molto sopravvalutati. The Dark Side of The Moon è uno di quegli album destinati a rinfocolare la polemica. Il muro sonoro creato dai Pink Floyd, si fa spesso accattivante, sin troppo, tanto da portarli ad un passo dalla tanto vituperata musica commerciale. E in effetti un episodio come “Money”, non fa che aggiungere frecce nell’arco dei detrattori. Basta però la presenza di un gioiello come “Time”, che unisce a livelli altissimi musica e testo, a giustificare il secondo posto in questa speciale classifica.

3) “Nursery Crime”. I Genesis sono stati un gruppo fondamentale nella evoluzione del pop negli anni ’70, anche se poi sono finiti in una sorta di oblio dovuto al fatto che sono un puro prodotto musicale della loro epoca, e in quanto tali difficili da immergere nella contemporaneità, come può succedere per Beatles e Pink Floyd, la cui attualità salta ancora oggi agli occhi. L’album in questione e la summa dell’opera dei Genesis e ne definisce in maniera concreta lo stile musicale. In esso il gruppo trova finalmente la sua dimensione, dopo aver dato ottime prove con gli album precedenti, mostrando la tendenza a composizioni articolate attraverso l’alternanza di ritmo e tono diversi, delicati arpeggi delicati cui fanno seguito cavalcate incalzanti e nuovi momenti acustici. Con “Nursery Crime” vengono svelate per la prima volta le definitive intenzioni musicali dei cinque, sino ad allora solo accennate: composizioni molto complesse e tendenti al classico, ma rese con strumentazione rock, ed enfatizzate dagli arrangiamenti drammatici sino a creare quadri capaci di rimanere fortemente impressi nell'ascoltatore.

4)  “Beggar’s Banquet”. E’ la risposta dei Rolling Stones a “Sgt. Pepper’s”. Le pietre rotolanti, dopo i tentativi di scimmiottare i Beatles, tornano all’energia del rock degli esordi e al blues ruvido che ne aveva fatto la fortuna. Aiutati in questo dal grande lavoro alle tastiere di Nicky Hopkins e dalla tagliente chitarra di Keith Richards, che formano un tappeto acustico robusto ed essenziale su cui si incardina la strepitosa voce di Mick Jagger. Già la copertina, rende chiaro l’intento della band di innestarsi prepotentemente nel momento storico (è il 1968): tornare alle origini, lasciandosi alle spalle il tentativo lisergico degli ultimi anni, senza preoccuparsi troppo di sconvolgere le fragili menti dei benpensanti. E il primo pezzo dell’album, ne costituisce una sorta di manifesto: si tratta infatti di “Simpathy for the devil”, una sabba demoniaco condotto a ritmo di samba e reso ossessivo dalle percussioni di Charlie Watts. Con questo album, le pietre rotolanti rimettono sulla giusta carreggiata una carriera che stava sbandando nell’improbo tentativo di seguire i Beatles sul loro terreno.

5)  “The Joshua Three”. E’  l’album della consacrazione degli U2 ed insieme quello che ne segna la piena maturità artistica, già sfiorata con “The Unforgettable Fire”. La sapiente sintesi tra la bravura tecnologica di Eno, l'irruenza a volte selvaggia raggiunta dal trio batteria-basso-chitarra e l'incredibile estensione vocale di Bono, porta ad un risultato finale che spinge la band irlandese tra i grandi all time e ne fanno un punto di riferimento per chi vuole approcciarsi ad un rock che sta finalmente rimuovendo dal terreno i detriti lasciati dalla ampollosità del Dynosaur Rock degli anni ’70 e dalla elettronica. Tra riuscite incursioni nel blues e nel country, escono fuori piccole gemme come "Where The Streets Have No Name", "I'm Still Haven't Found What I'm Looking For” e “Mothers of the Disappeared”. Probabilmente il miglior album rock degli anni ’80.

 

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