Il calcio, sin dai primi anni susseguenti alla sua nascita. ha incontrato grande favore nelle masse popolari del Vecchio Continente. Sino a diventare il gioco per eccellenza delle stesse. E di conseguenza, è diventato un veicolo estremamente appetibile per la propaganda dei regimi totalitari, che si resero subito conto del suo ascendente. Mussolini fu il primo ad intuire le grandi potenzialità in tal senso dello sport inventato in Inghilterra. Spesso lo si poteva trovare sulle tribune di Testaccio o della Rondinella ad assistere alle partite di Roma e Lazio, mentre molti dei suoi gerarchi si davano da fare a favore delle squadre per cui tifavano o della propria città, cosa che poteva avere un ritorno di immagine non indifferente. lo stesso Mussolini, tra l'altro, fu socio della Lazio, squadra che ebbe non pochi aiuti dal regime. Il più clamoroso e sfacciato di questi aiuti, fu quello riguardante Silvio Piola, indirizzato di forza verso Roma dal tesoriere del PNF Marinelli, nonostante il vercellese avesse già firmato un precontratto che lo legava al Torino. Il nazismo, non fu comunque da meno. Basti pensare alla partita che si svolse il 3 aprile del 1938, al Prater di Vienna, che sarebbe a lungo rimasta nella storia del calcio. La gara, doveva essere il suggello sportivo all'Anschluss, la pratica annessione dell'Austria alla Germania, e per dare il maggior risalto possibile, le nazionali di calcio dei due paesi erano state chiamate ad una partita che sarebbe dovuta essere l'ultima del famoso Wunderteam austriaco, squadrone creato da Hugo Meisl negli anni precedenti. Dopo questa partita, infatti, la squadra austriaca, un odei colossi del tempo, si sarebbe dovuto sciogliere e i suoi migliori atleti avrebbero dovuto confluire nella squadra tedesca, fornendole quella fantasia di cui necessitava per poter aspirare a vincere la Coppa Rimet del 1938, come era nei desiderata della federazione teutonica, ormai ridottasi a puro strumento di propaganda in mano alla NSDAP. Sesi pensa che ai Mondiali italiani, l'Austria era arrivata quarta e la Germania terza e l'unione della forza fisica dei teutonici con la grande fantasia e tecnica che erano il tratto distintivo della selezione austriaca, la fondatezza del progetto sembrava garantita. Il problema, che era stato visibilmente sottostimato dai dirigenti tedeschi, stava però nell'orgoglio degli austriaci e nel loro attaccamento alla piccola Austria sorta dopo la prima grande guerra. Gli austriaci, in magigoranza, non si sentivano tedeschi, perlomeno quelli che non erano stati conquistati al nazismo. Basti pensare che lo stesso Meisl, morto da non molto tempo, una volta aveva tenuto a rimarcare la diversità dei suoi uomini dicendo che erano tutti boemi. Se qualcuno pensava che il problema sarebbe stato facilmente appianato, non aveva capito quanto stava maturando.
Prima di andare avanti nel racconto di quella partita, bisogna però fare un passo a ritroso nel tempo, andando al 10 febbraio del 1903, quando, a Kozlov, nella Moravia austriaca, nasceva Mathias Sindelar, discendente di una famiglia ebrea che di lì a poco si sarebbe trasferita a Vienna. Nella metropoli austriaca, la famiglia Sindelar trovò alloggio in un quartiere della cintura operaia, ove visse in condizioni economiche molto precarie, che furono presto aggravate dalla morte del capostipite, avvenuta nel 1917 in una trincea dell'Isonzo, nel corso di una delle tante terribili battaglie che caratterizzarono la Grande Guerra sul fronte italiano. La vedova Sindelar, per cercare di reagire al colpo portato dal destino, decise di aprire una lavanderia che divenne un prezioso supporto economico per una famiglia che contava anche tre bambine, mentre il piccolo Mathias cominciava a farsi notare per la stupefacente abilità con la quale riusciva a trattare una palla di stracci per le strade del "Favoriten", il quartiere delle fabbriche viennesi. Ben presto, la sua fama si sparse, tanto da richiamare gli osservatori dell'Herta, colpiti dalla sua tecnica portentosa e dall'abilità nel dribblare gli avversari. La sua naturale crescita tecnica, spinse anche il club più prestigioso della città, il Wiener Amateure, la famosa squadra che avrebbe poi mutato il suo nome in Austria Vienna, ad interessarsi di quel piccolo fenomeno di cui tutti dicevano meraviglie. Sindelar, messo sotto contratto, divenne presto il giocatore più rappresentativo dell'Austria, proprio grazie alla tecnica portentosa affinatasi nel corso degli esercizi con la palla di stracci. E il suo soprannome "cartavelina", dovuto alla esilità del suo fisico, si trasformò presto nel sinonimo di quello che era forse il miglior giocatore del Vecchio Continente. Quando sembrava che nulla potesse fermarlo, arrivò però un infortunio al ginocchio, che sembrò porre fine in maniera prematura alla sua carriera. In quegli anni, infatti, un semplice intervento al menisco era di solito la pietra tombale per la vita agonistica di un calciatore. Non fu così, per Sindelar, il quale decise di sottoporsi all'intervento, dopo il quale applicò una terapia rieducativa che per l'epoca era una novità e con una feroce applicazione riuscì a tornare sui campi, anche se da allora gli sarebbe rimasta, a ricordo, una vistosa bendatura che aveva il compito di proteggere l'arto dai colpi degli avversari. Tornò come se non fosse successo nulla e ricominciò a giocare da par suo. Nel corso di una partita disputata dall'Austria a Londra contro l'Inghilterra, nel 1932, segnò una rete la cui bellezza è resa bene dalle parole dell'arbitro, il belga Langenus: "Il goal di Sindelar fu un autentico capolavoro. Sindelar partì dalla metà campo e, con il suo inimitabile stile, superò semplicemente chi gli si parava davanti, alla fine fece due dribbling tornando indietro e depose la palla in rete." Dopo questa impresa,ne seguirono molte altre, come quella compiuta contro l'Ungheria, quando Sindelar realizzò tre delle otto reti con cui il Wunderteam demolì i magiari, fornendo gli assist per le altre cinque. Non era perciò una esagerazione indicarlo come il calciatore europeo più forte e più famoso della sua epoca. Naturalmente, su di lui si appuntarono gli sguardi dei tedeschi, quando fu elaborato il piano che, nelle intenzioni dei promotori, avrebbe dovuto portare la Germania a vincere la Coppa Rimet. C'era però quel piccolo particolare sulle origini ebraiche di Sindelar a porre una inquietante ombra su tutta la vicenda. Se all'inizio sembrò che si potesse appianare la vicenda, quello che successe nel corso della partita tra Austria e Germania, accelerò drammaticamente gli avvenimenti. Quel giorno, infatti, il Wunderteam, o meglio ciò che rimaneva di esso, dopo la morte di Meisl, sconfisse la Germania per 2-1 di fronte a 60.000 stupefatti spettatori e, naturalmente, Sindelar fu il protagonista più fervido di quella impresa. E non poteva che essere così, visto che negli ultimi anni, aveva dovuto assistere attonito alla montante marea antisemita fomentata dai nazisti e che aveva colpito moltissimi suoi amici e conoscenti, a partire dai dirigenti dell'Austria Vienna, i quali erano stati rimossi a forza dai loro incarichi, nonostante il ruolo attivissimo che avevano avuto nel corso dell'ascesa di questa squadra, che, negli anni '30, aveva dominato la scena europea. Forse, mentre giocava, a Sindelar tornarono alla mente gli avvenimenti degli ultimi anni, o forse la sua intatta classe era semplicemente troppa per i monotoni avversari, fatto sta che proprio lui fu autore di una delle prove più belle di una strepitosa carriera e sua fu la rete decisiva del 2-1 che fece impazzire di gioia le migliaia di austriaci che interpretarono nella vittoria di quel giorno una ultima, orgogliosa, affermazione di spirito nazionale. Alla fine della gara, i giocatori austriaci avrebbero dovuto sfilare davanti alla tribuna delle autorità, per poi salutare col braccio teso i gerarchi che la affollavano. Sindelar, e con lui il fidato compagno Karl Sesta, si rifiutarono di fare quel semplice gesto, che non sentivano loro. Un piccolo gesto, dalle terribili conseguenze. Per Sindelar, era la condanna definitiva. Da quel momento, nonostante Herberger avesse provato a convincerlo a partecipare ai Mondiali, non ci fu per lui alcuno schermo protettivo. Il 23 gennaio del 1939, fu trovato morto nella sua casa, accanto alla sua compagna, una ebrea italiana, Carla Castagnola, ormai entrata nel coma che la avrebbe condotta alla morte pochi giorni dopo. La polizia austriaca, di solito meticolosa, chiuse in fretta e furia l'inchiesta, affermando che il decesso di Sindelar fosse dovuto ad avvelenamento da monossido di carbonio, conseguente alla perdita di una stufa difettosa. Non ci credette nessuno, troppo forte il sospetto che ad organizzare l'omicidio fosse stata la Gestapo. Nel frattempo, la sede dell'Austria Vienna era tempestata di telegrammi di cordoglio provenienti da tutta Europa, anticipazione di quanto sarebbe successo al funerale, quando ben 40.000 persone, nonostante i tentativi nazisti di ostacolare il tutto, mettendo a tacere quanto successo, si presentarono per dare l'ultimo saluto a quello che era stato definito il Mozart del football.