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6 ottobre 2011 4 06 /10 /ottobre /2011 09:50

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Il calcio italiano, è fatto di tante storie grandi e piccole, che hanno contribuito a renderlo quel fenomeno popolare che ha sempre incontrato il gradimento di grandi masse di sportivi. Una delle più belle, è sicuramente quella rappresentata dall'amore tra Gigi Riva e la Sardegna, un amore scoccato negli anni '60 e mai tramontato. La storia di questo rapporto nasce nell'estate del 1963, quando il Cagliari decide di procedere all'acquisto di un ragazzo che si è messo in ottima evidenza nel Legnano, un certo Luigi Riva. Che ancora in pochi conoscono, ma che ha già avuto modo di far convergere sulla sua persona le attenzioni degli osservatori di molte squadre professionistiche. Ad un certo momento, sembra che debba essere la Lazio a spuntarla, ma poi è il Cagliari, ad avere la meglio. E i sardi non hanno certo di che pentirsi dell'investimento fatto. Il giovane lombardo, infatti, supera immediatamente qualsiasi problema di ambientamento e comincia a giocare una partita più bella dell'altra, dimostrando di essere attaccante di razza. Forte fisicamente, si esalta nelle acrobazie e di testa la spunta spesso. Ma quello che colpisce, sono le cannonate che fa partire col piede sinistro, bordate dalla potenza terrificante, capace di rompere le mani al portiere che sbaglia il modo di prenderle. Se le prende, beninteso, perchè se Riva colpisce bene la palla è veramente impossibile metterci una pezza. La potenza del suo tiro, colpisce l’immaginazione, tanto da procurargli il soprannome di “Rombo di tuono”, che ne rende al meglio l’idea. 

 

Una ascesa inarrestabile

 

Con le sue reti, che sono tante e spettacolari, comincia la fase più bella della storia del Cagliari, che, dopo essere arrivato nella massima serie, a poco a poco comincia ad avvicinarsi alla vetta del calcio italiano. Anche il settore tecnico delle squadre nazionali, si accorge di lui, tanto che nel 1965 fa il suo esordio in azzurro, chiamato da Mondino Fabbri che sta costruendo la squadra in vista dei mondiali che debbono disputarsi l'anno successivo in Inghilterra. Ai quali, lui prende parte, senza però scendere in campo. E' la sua fortuna, perchè la spedizione inglese si conclude nel modo più inglorioso, con la eliminazione dell'Italia da parte dei "ridolini" coreani e le pomodorate che accolgono al ritorno gli azzurri. Ormai, Riva sta per entrare nella fase della maturità agonistica, aiutato anche dalla crescita tecnica di un Cagliari che sta assemblando pezzo dopo pezzo un vero squadrone. Con l'arrivo dei vari Albertosi, Cera, Niccolai, Nenè, Domenghini e Gori, il nuovo tecnico Scopigno, detto il "Filosofo", si ritrova tra le mani una squadra eccezionale, che dimostra di poter ambire al massimo traguardo. Nel 1968, però, in una gara con la Nazionale, Riva si frattura una gamba e qualcuno comincia a temere che non possa più tornare quello di prima. Lui smentisce i profeti di sciagura e torna più forte di prima. Tanto che gli squadroni del Nord cominciano a pensare seriamente a come strapparlo al Cagliari. Non hanno però fatto i conti con il legame inossidabile che si è formato tra il bomber e la gente dell'isola, che spinge il giocatore a rifiutare decisamente qualsiasi ipotesi di tornare sul continente, nonostante le sirene che gli vengono fatte balenare in continuazione davanti agli occhi. La sua consacrazione definitiva, avviene nel 1969-70, quando con 21 reti, una più bella dell'altra, spinge il Cagliari verso uno storico scudetto. Ma non è finita, perchè proprio nell'estate del 1970 si svolgono i campionati mondiali in Messico e lui si presenta come il "Pelè bianco", il giocatore che potrebbe riportare il mondiale in Italia dopo i trionfi del 1934 e 1938. E in effetti, per poco l'impresa non riesce. La squadra azzurra, infatti, arriva sino alla finale col Brasile, ottenuta con una partita rimasta nella storia del calcio, quella con la Germania, vinta per 4-3. La finalissima viene persa anche per le incomprensibili decisioni del tecnico Valcareggi, il quale lascia fuori Rivera scatenando un mare di polemiche. E al ritorno, i tifosi italiani si scatenano, accogliendo la squadra con uova marce e pomodori, che non rendono giustizia al comportamento di una squadra tornata finalmente ad alti livelli, che mancavano dalla sciagura di Superga che aveva mutilato il nostro calcio degli atleti del Grande Torino. Riva dimentica presto l'epilogo della spedizione in Messico, grazie all'affetto del pubblico sardo e ricomincia a giocare, e segnare, come sa.  

 

Il declino

 

Purtroppo, però, arriva un nuovo grave incidente, quello riportato contro l'Austria al Prater, nel 1972, che priva il Cagliari e la Nazionale dell'uomo ritenuto fondamentale per le loro fortune. I risultati si vedono subito: il Cagliari si ferma a metà classifica e la squadra azzurra va fuori col Belgio prima ancora di arrivare alla fase finale di quegli europei in cui dovrebbe difendere il titolo conquistato quattro anni prima. Riva riesce comunque a riprendersi ancora una volta, tanto da tornare ai suoi soliti livelli, ma ormai l'età sta avanzando e i segni dei tremendi infortuni riportati si notano. Le sue capacità realizzative cominciano lentamente ad affievolirsi, anche se la mancanza di valide alternative in avanti gli consente di mantenere il posto in Nazionale. Sino ai Mondiali tedeschi del 1974, quando gli azzurri, presentatisi tra i principali favoriti per la vittoria finale, escono disastrosamente nel girone eliminatorio, buttati fuori dalla Polonia e dall’Argentina. Con il disastro di Stoccarda, si chiude il ciclo azzurro di Rombo di Tuono. Di lì a poco, anche la sua carriera arriverà agli sgoccioli. L’età avanza e i postumi dei due tremendi infortuni riportati si fanno sentire. Alla fine, Riva decide di lasciare quando ancora non è una figura patetica che si trascina in mezzo al campo. E fa bene, perché lascia negli occhi dei tifosi l’immagine di uno splendido giocatore e di un grande uomo, uno dei pochi capaci di unificare in un sentimento di ammirazione e affetto il variegato mondo del tifo italiano.     

 

 

 

 

 


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